Non ci sono le condizioni politiche per andare avanti con la ratifica dell’intesa. Proposta nuova normativa contro gli investitori di Stato (cinesi). L’Unione vuole ridurre la dipendenza dall’import cinese in settori chiave. Attesa la risposta della Cina e dei governi europei che la sostengono.
di Emanuele Scimia
Bruxelles (AsiaNews) – Ratifica dell’accordo sugli investimenti sospesa; nuova legge contro gli investitori stranieri sovvenzionati dal proprio Stato; revisione della strategia industriale per ridurre la dipendenza dalle importazioni in settori strategici. Tra ieri e l’altro ieri l’Unione europea ha lanciato tre segnali chiari alla Cina.
I rapporti tra Europa e Pechino sono diventati tesi dopo l’imposizione in marzo di sanzioni europee su funzionari cinesi ritenuti responsabili di violazioni dei diritti umani nello Xinjiang. Il gigante asiatico ha risposto alla mossa della Ue con contromisure contro europarlamentari, accademici e istituzioni europee.
Come spiegato da Valdis Dombrovskis, commissario Ue per il Commercio, non ci sono al momento le condizioni politiche per andare avanti con la ratifica dell’intesa sugli investimenti con la Cina. Su iniziativa di Germania e Francia, le due parti avevano trovato un’intesa di principio lo scorso 30 dicembre. L’accordo è osteggiato da gran parte dei gruppi del Parlamento europeo, che è chiamato ad approvarlo in via definitiva. Le resistenze dei parlamentari europei sono cresciute dopo l’annuncio delle controsanzioni di Pechino.
Un punto chiave contenuto nella bozza dell’accordo è quello sui limiti ai sussidi dello Stato cinese alle proprie industrie, che secondo la Ue alterano il mercato danneggiando le imprese europee. Con la nuova proposta di legge, le istituzioni europee hanno deciso di risolvere in modo unilaterale la vicenda. In futuro la Commissione europea potrà indagare e nel caso bloccare investimenti stranieri in compagnie europee con profitti superiori ai 500 milioni di euro, effettuati da investitori che hanno ottenuto sussidi statali sopra i 50 milioni di euro. La misura si applica a ogni azienda estera, ma il vero obiettivo sono i giganti di Stato cinesi.
L’Ue ha messo nel mirino anche le importazioni di materie prime (soprattutto le terre rare) e articoli farmaceutici dalla Cina. Vi sono 34 prodotti in questi due settori che l’Unione è costretta a importare: metà hanno origine cinese. La nuova politica industriale punta a diminuire tale dipendenza.
“Si riduce tutto alla necessità di competere ad armi pari, solo questa volta sul suolo europeo [e non in Cina]”, dice ad AsiaNews Joerg Wuttke, presidente della Camera di commercio della Ue in Cina. Egli sostiene che la nuova normativa ha buoni elementi, soprattutto il fatto che solo la Commissione europea avrà la responsabilità di applicarla. Secondo Wuttke, lo strumento messo in campo dalla Ue non sarà protezionistico: “Sono previste soglie alte per intervenire contro investitori esterni aiutati dal proprio Stato, un modo per catturare gli effetti più distorsivi dei sussidi pubblici”.
Diversi analisti osservano che mentre l’accordo sugli investimenti ha per la Cina un valore più politico (indebolire il legame euro-atlantico con gli Usa) che economico, limiti alle operazioni in Europa delle proprie imprese di Stato potrebbero portare a misure ritorsive. Molto dipenderà da come la Commissione applicherà le nuove regole, se in maniera rigida o più flessibile.
Vi è poi la variabile del comportamento dei singoli Stati membri. Servirà la loro collaborazione per permettere alle autorità europee di effettuare i controlli alle attività cinesi. Governi filo-Pechino come quello ungherese potrebbero “sabotare” il processo. Lo scorso mese Budapest ha già bloccato una dichiarazione di condanna congiunta e l’imposizione di sanzioni per la repressione del movimento democratico a Hong Kong: un’opera di ostruzione che secondo il South China Morning Post prosegue in questi giorni.
fonte: AsiaNews
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