La (coraggiosa) denuncia di una donna ignorata dal Comune e archiviata dalla Procura. Le indagini della polizia sulla gestione illecita del cimitero
di Francesco Casula
TARANTO – «Pronto è il Comune di Taranto? C’è una salma nel mio loculo». Succede anche questo nei cimiteri del capoluogo ionico, al centro di una maxi inchiesta della Squadra Mobile che ha portato alla luce una vera e propria a associazione a delinquere composta da alcuni necrofori che avevano imposto il pizzo alle famiglie dei defunti, alle onoranze funebri, ai marmisti e persino ai fiorai per ogni operazione che veniva compiuta nel cimitero «San Brunone», al quartiere Tamburi, e al cimitero «Maria Porta del Cielo» nella borgata di Talsano. L’indagine «Golden Money» coordinata dai pubblici ministeri Maria Grazia Anastasia e Francesco Ciardo, ha messo sotto accusa oltre ai necrofori, anche alcuni dirigenti comunali per l’assegnazione sospetta dell’appalto da 7 milioni di euro alla cooperativa Kratos. Ma l’attività dei poliziotti guidati all’epoca dal vice questore Fulvio Manco, ha portato alla luce i silenzi e l’omertà di una parte della Direzione Ambiente del Comune di Taranto: dalle carte e dalle intercettazioni, infatti, è emerso come le richieste di pagamento «del caffè» che i necrofori avanzano a tutti coloro che mettevano piede nel camposanto, fosse ben conosciuta da tutti senza che nessuno abbia mai inviato una sola nota alla procura della Repubblica.
Ma dalle ultime carte dell’inchiesta è emersa la storia di una donna coraggiosa che si è ritrovata nella tomba, acquistata regolarmente dal Comune con un assegno bancario e l’intera documentazione, la bara di un’altra persona…
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