Patì il martirio, sotto Diocleziano, per la sua ferma decisione di vivere da consacrata a Cristo e quindi di non abiurare la fede. La sua vita, il martirio, il culto delle reliquie e la tradizione popolare
di Salvatore Stano
La festa della luce vera che «veniva nel mondo»(Gv 1,9), celebrata da tutti (si spera) nel giorno di Natale, è preceduta, nel calendario liturgico, da un’altra luce splendente: Lucia, la vergine e martire siracusana.
Il nome Lucia deriva dal praenomen latino Lúcia, femminile di Lucius, basato sul termine lux, “luce”e può significare “luminosa”, “splendente”; anticamente veniva dato alle bambine nate alle prime luci del mattino.
Che cos’è la luce
L’abate Mariano Magrassi, per 22 anni arcivescovo metropolita di Bari, nel suo famoso discorso sulla luce, in una notte di Natale, così si esprimeva: «La luce è per noi connaturalmente legata alla vita: di uno che nasce non diciamo forse che “viene alla luce”? Le tenebre al contrario, che sembrano avvolgere tutti gli esseri di un manto funereo, privandoli della loro vivace bellezza, si prestano a raffigurare la morte. La trasposizione sul piano morale va da sé: il peccato è tenebra, la grazia e la fede sono luce… Nella liturgia natalizia: Cristo è presentato come luce divina venuto a fugare le tenebre del mondo. È facile intuire il perché. Tra tutte le realtà del mondo materiale, la luce è quella in cui Dio meglio riflette il suo mistero: forse perché contemplare la luce è una delle nostre gioie più grandi (Ecc.le 11, 7), forse per lo splendore e la sua immaterialità. Siamo perciò portati a pensare la “gloria” di Dio in termini di luce. La sua stessa immagine impressa nell’uomo è spesso vista così. Diciamo che brilla. Merton ha scritto: “Noi tutti siamo strade e finestre attraverso le quali Dio riflette la sua luce”. In un salmo vediamo Dio rivestire la luce come un manto (Sal 104, 2). L’esperienza di una luce abbagliante è da noi spontaneamente collegata alla divina presenza».
Cristo, luce delle genti
La luce delle genti, come la definì il vecchio Simeone quando il pargoletto Gesù fu presentato al tempio da Giuseppe e Maria (Lc 2,32), brillò anche nel cuore della vergine Lucia di Siracusa.
Di lei, non molto si conosce, la si addita come protettrice degli occhi, dei problemi della vista, mentre il popolino devoto da secoli canta, in una pseudo nenia gregoriana: «chi si affida a lei certezza ha del miracolo». Chi vi scrive ha fatto esperienza in famiglia di un miracolo avvenuto per intercessione di Santa Lucia.
La storia di Lucia
Gli atti del martirio, le tradizioni, i racconti popolari e le leggende narrano la storia di Lucia. La sua nascita avviene alla fine del III secolo a Siracusa, all’interno di una famiglia benestante e di alto rango. Cresce in un ambiente cristiano, ma la sua infanzia è segnata dalla perdita del padre. La madre Eutichia si prende cura di Lucia con amore e dedizione.
Fin da giovane, Lucia nutre il desiderio di consacrarsi a Dio, un segreto che custodisce nel suo cuore. Nonostante le intenzioni della madre, che la promette in sposa a un giovane di buona famiglia ma non cristiano, Lucia non svela il suo desiderio di consacrare la sua verginità a Cristo. Utilizzando vari pretesti, ritarda il matrimonio, confidando nella preghiera e nell’aiuto divino.
Il viaggio a Catania e l’intercessione di Sant’Agata
Nell’anno 301, Lucia e sua madre si dirigono in pellegrinaggio a Catania, presso la tomba di Sant’Agata. Eutichia soffre di emorragie, nonostante molteplici e costose cure non abbiano sortito effetto. Madre e figlia si recano dalla giovane martire catanese per chiedere la grazia della guarigione. Il 5 febbraio, giorno del dies natalis di Agata, arrivano alle falde dell’Etna e partecipano alla celebrazione eucaristica presso la tomba della santa.
Durante la lettura dell’episodio evangelico dell’emorroissa, che aveva ottenuto la guarigione toccando il lembo della veste del Signore, Lucia si rivolge a sua madre dicendo: «Madre, se presterai fede alle cose che sono state lette crederai anche che Agata, la quale ha patito per Cristo, abbia libero e confidente l’accesso al Suo tribunale. Tocca dunque fiduciosa il sepolcro di Lei, se vuoi, e sarai risanata » (Passio di Santa Lucia).
Eutichia e Lucia si avvicinano alla tomba di Agata. Lucia prega per la madre e chiede per sé la possibilità di consacrare la sua vita a Dio. In uno stato di estasi, vede Agata tra gli angeli annunciare: «Lucia, sorella mia e Vergine del Signore, perché chiedi a me ciò che tu stessa puoi concedere? La tua fede è stata di grande giovamento a tua madre, essa è già guarita. E come per me è ricolma di grazie la città di Catania, così per te sarà preservata la città di Siracusa, perché il Signore Nostro Gesù Cristo ha gradito che tu abbia serbato illibata la tua verginità».
Al risveglio, Lucia racconta a sua madre l’esperienza vissuta, le rivela il desiderio di rinunciare a un matrimonio terreno e chiede di poter vendere la sua dote per fare opere caritatevoli a favore dei poveri.
Il martirio
Deluso e irritato, il giovane che sperava di conquistare la mano di Lucia la denuncia al prefetto Pascasio, accusandola di venerare Cristo e di disobbedire alle norme dell’editto di Diocleziano. Lucia viene arrestata e condotta dal prefetto, che la interroga. Nonostante le pressioni, Lucia rifiuta di sacrificare agli dei e con orgoglio dichiara la sua fede, citando le parole: «Io sono una serva dell’Eterno Iddio ed Egli ha detto: ‘Quando sarete condotti dinnanzi ai re ed ai principi non vi date pensiero del come o di ciò che dovete dire poiché non sarete voi che parlate ma lo Spirito santo è che parla in voi’».
Pascasio le chiede se crede di possedere lo Spirito Santo, e Lucia risponde: «L’Apostolo ha detto: ‘I casti sono tempio di Dio e lo Spirito Santo abita in essi’». Nel tentativo di screditarla, Pascasio ordina di condurla al postribolo (casa di prostituzione), ma Lucia dichiara che non cederà alla concupiscenza della carne e che, qualsiasi violenza il suo corpo possa subire contro la sua volontà, rimarrà casta, pura e incontaminata nello spirito e nella mente. Incredibilmente immobile, i soldati non riescono a spingerla; anche legata mani e piedi, nemmeno con l’aiuto di buoi riescono a trascinarla. Irritato dall’evento straordinario, Pascasio decide di bruciarla, ma il fuoco non la danneggia. Furioso, Pascasio ordina che Lucia venga decapitata il 13 dicembre del 304.
Gli Atti del martirio
Gli atti del martirio di Lucia sono stati scoperti in due redazioni antiche e distinte: una in lingua greca, il cui testo più antico risale al V secolo (secondo le attuali ricerche), e l’altra in latino, databile al V-VI secolo e che sembra essere una traduzione dalla versione greca.
La leggenda degli occhi strappati
La narrazione secondo cui le sarebbero stati strappati gli occhi non compare negli atti del martirio e risale all’incirca al XIV-XV secolo (comunque questa leggenda ha ispirato un dolce tipico pugliese, di cui si ha traccia fin dai primi anni del XIX secolo a Barletta e poi diffusosi nel territorio barese: “gli occhi di santa Lucia”: sono dei biscotti all’anice di cui si riporta a margine dell’articolo la ricetta, ndr)
L’immagine degli occhi sulla coppa o sul piatto sembra essere collegata più semplicemente alla devozione popolare che ha sempre considerato Lucia come protettrice della vista, a causa dell’etimologia del suo nome derivante dal latino “lux,” che significa luce.
Il culto di Santa Lucia
Ha avuto inizio immediatamente dopo la deposizione del suo corpo nelle catacombe, che successivamente presero il suo nome, diventando una meta di pellegrinaggi. Durante l’occupazione araba della Sicilia, i cittadini di Siracusa avevano celato il corpo della santa in un luogo segreto all’interno delle catacombe.
Le storie delle reliquie
Secondo una versione della storia delle reliquie, il generale bizantino Giorgio Maniace riuscì a individuare il corpo di Santa Lucia, forse attraverso l’inganno, grazie a un anziano il cui nome non è mai stato rivelato nei secoli per proteggere lui e i suoi discendenti da eventuali accuse infamanti. Così, nel 1039, il generale trafugò il corpo per presentarlo come omaggio al suo sovrano a Costantinopoli. Il corpo della santa fu portato insieme alle spoglie di Sant’Agata a Costantinopoli come dono per l’imperatrice Teodora. Tuttavia, nel 1204, durante la Quarta Crociata, le reliquie furono sottratte dai Veneziani (le spoglie di Sant’Agata erano già state riportate in Italia nel secolo precedente) che avevano conquistato la capitale bizantina. Il doge Enrico Dandolo le portò a Venezia come bottino di guerra e le collocò sull’isola di San Giorgio Maggiore.
Nel 1279, durante il trasporto in onore di Santa Lucia, le barche furono rovesciate dalle onde agitate del mare, causando la morte di alcuni pellegrini. A seguito di questo evento, si decise di trasferire le reliquie nel sestiere di Cannaregio, nella chiesa dedicata alla santa.
Successivamente, a causa della costruzione della stazione ferroviaria di Venezia, nel 1861 la chiesa fu demolita. L’11 luglio 1860, il corpo di Santa Lucia fu definitivamente trasferito nella vicina chiesa di San Geremia, dove attualmente riposa. Tuttavia, i siracusani continuano a reclamarne fortemente il ritorno nella loro città. Le sacre spoglie fecero un eccezionale ritorno a Siracusa per sette giorni nel dicembre 2004, in occasione del 17º centenario del suo martirio, attirando una folla incredibile di siracusani e visitatori provenienti da ogni parte della Sicilia. A seguito dell’enorme partecipazione dei devoti, si è discusso della possibilità di un ritorno definitivo. Il corpo della santa tornò nuovamente a Siracusa dal 14 al 22 dicembre 2014.
Una seconda e parallela tradizione, risalente a Sigeberto di Gembloux (morto nel 1112), narra che le spoglie di Santa Lucia furono portate a Metz in Francia. Attualmente, sono venerate dai francesi in un altare situato in una cappella della chiesa di Saint-Vincent.
Curiosità
Nel 1955, il futuro papa Giovanni XXIII, all’epoca patriarca cardinale Angelo Roncalli, commissionò una maschera protettiva in argento a copertura del volto della martire per proteggerlo dalla polvere. Nel 1981, due ladri introdottisi nella chiesa rubarono le spoglie, poi ritrovate 13 dicembre nella zona lagunare di Montiron, e quindi ricomposto in un’urna di cristallo antiproiettile.
Gli “occhi di santa Lucia”, il dolce barlettano
La “inconquistabile” città marinara di Barletta, in Puglia, come la chiamò la Serenissima, in seguito ai fatti succeduti dopo la Battaglia navale di Kurzola (1303-1304), insieme a Siracusa e a Venezia, è una delle città con una fortissima devozione a Santa Lucia. Qui, ogni anno, da quasi due secoli, sul corso attiguo alla parrocchia dedicata a Santa Lucia, oggi Corso Cavour ma anticamente Corso dei cambi, o dei Trneis (monete) si celebrano i festeggiamenti in onore della vergine e martire.
La tradizione vuole che per l’occasione si confezionino gli occhi di Santa Lucia e i grandi taralli di pane conditi con l’anice. Siamo riusciti ad ottenere dalla signora Maria Sterpeta Scommegna, una barlettana che vive qui a Roma, l’antica ricetta che la sua famiglia si tramanda da diverse generazioni.
Ingredienti per circa 20-25 biscotti
Per l’impasto
Farina: preferibilmente tipo 00, 250 g
Olio di oliva: 60 g
Vino bianco secco: 80 g
Anice: ½ cucchiaino di semi, (in assenza li si può sostiture con un cucchiaino di liquore all’anice)
Sale: un pizzico
Per la glassa
Zucchero a velo: 250 g
Acqua bollente: 40 g
Procedimento
Per l’impasto
Mischiare gli ingredienti in una scodella o ciotola ed impastare il tutto fino a ottenere un omogeneo composto, che si dovrà avvolgere nella pellicola e per poi lasciar riposare almeno mezz’ora alla temperatura ambiente.
Dopo il riposo, prendere l’impasto e dividerlo in pezzetti da 15 g ciascuno; con ogni pezzetto, formare un filoncino lungo circa 10 cm e poi saldare le due estremità sovrapponendole di 1 cm, formando così un tarallo piccolo. Procedere così con il rimanente impasto.
Man mano che si ottengono i tarallini, disporli su una teglia o placca foderata con carta forno. Infornarli alla temperatura di 170° per circa 20-25 minuti, poi sfornarli e lasciarli raffreddare. Si raccomanda di toglierli dal forno quando i taralli cominceranno a dorare, altrimenti raffreddandosi diventeranno troppo duri
Preparazione della glassa per i tarallini
Mettere in una ciotola lo zucchero a velo e aggiungere acqua bollente (aggiungere l’acqua un po’ alla volta, in modo da non creare una glassa troppo liquida. Se dovesse accadere, la si può recupere aggiungendo un pochino di zucchero a velo). Mischiare con un cucchiaio fino a ottenere un composto liscio, cremoso e senza grumi.
Glassare i tarallini
Prendere il tarallino utilizzando due stecchini da spiedino o qualcosa di simile e intingerlo completamente nella glassa di zucchero. Una volta riaffiorato, posare il tarallino su uno scolatoio per eliminare la glassa in eccesso e poi appoggiarlo su una gratella per lasciare indurire la glassa. Procedere allo stesso modo con tutti gli altri tarallini.
Le notizie del sito EasyNews24 sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte e l’indirizzo web: www.easynews24.it
Be the first to comment on "Santa Lucia e la bellezza di essere sposa di Cristo. Da Barletta la devozione degli “Occhi di Santa Lucia”"