Gli eroi classici nel mirino della scrittrice Michela Murgia. Ma il dramma del contemporaneo non sta negli eroi antichi, ma nell’assenza di persone capaci di esserlo. Maschi, femmine, trans, quel che sia
ROMA – Questa volta sono gli eroi classici a finire nel mirino di Michela Murgia, scrittrice e sacerdotessa del femminismo, il suo s’intenda bene, che dalla neolingua del suo laboratorio vorrebbe ora anche fare tabula rasa dell’epopea classica per il bene dei diritti femminili. È un tema portante del suo libro ‘Noi siamo tempesta’, riproposto da Salani e ahimè dedicato proprio ai giovani. Il catenaccio, come riportano diverse testate che ne hanno parlato, è eloquente: “Storie senza eroe che hanno cambiato il mondo”.
Potremmo imbarcarci in una diatriba filosofica tra comunità e singolo, tra eccellenza dell’’uno che vale diecimila’ alla Eraclito e la ‘Repubblica’ platonica che salva il mondo, certo sempre grazie ai filosofi re, e resteremmo divisi da insanabili legittime ragioni, ma torniamo agli eroi e alla classicità. Achille che ama e che combatte, Odisseo che viaggia per terre e mari per ritrovare il suo posto nel mondo, Ettore sconfitto che preserva dignità, Fidia creatore sapiente, Elena e il tema del destino, Penelope e il ritorno, Clitemnestra sensuale e di feroce intelligenza, Andromaca che ama allo sfinimento.
Categorie antropologiche, morali, filosofiche: questo erano eroi ed eroine classiche. È il patrimonio che ci ha cresciuti, che ha dato vita a opere sublimi un tantinello in più dei libri certamente in voga della Murgia. Stanno nelle nostre cellule, non importa se maschi o femmine perché le loro virtù sono umane, sono ‘persona’ e sono ‘divine’ insieme e non seguono le sorti genitali. La testimonianza di sacrificio e di coraggio degli eroi antichi non era declinata al loro essere maschili, ma al loro essere semidei, appunto eroi. Li ha studiati bene al liceo, viene da chiedersi?
Questa antitesi con il collettivo che dovrebbe trionfare è un altro capitombolo, così pare. Non c’è scissione nell’antichità tra il singolo e le sorti della comunità, che sia la polis greca o l’Impero romano. Tutto si tiene insieme. Ed è quello che costa più fatica a noi contemporanei. Solo con il cristianesimo nascerà la dimensione privata della persona, quella esistenziale alla moderna maniera. Dunque di che parla?
Non si tocca con tale imperizia il patrimonio che ha fondato la nostra civiltà. Non si cancella la storia nel suo bene e nel suo male, proprio per capire come procedere e per non dimenticare.
Il dramma del contemporaneo non sta negli eroi antichi, ma nell’assenza di persone capaci di esserlo. Maschi, femmine, trans, quel che sia. L’eroismo è un abito dell’anima, Achille non era il suo pene ed Elena non era la sua vagina. Erano modelli di coraggio, di sacrificio, di intelligenza.
Non sarà che Murgia pensa che gli eroi antichi siano modelli ‘virili e maschili’? E che quel modello di coraggio e sacrificio sia appannaggio solo di chi ha il pene? Ma come dopo anni e anni a ripeterci che non sono solo i genitali ad attribuire il genere? Si sorprenderà la sacerdotessa del neofemminismo di pensare che bambini e bambine in quell’ eroismo possono trovare un patrimonio di modelli, di azioni gloriose, di idee per essere migliori, per coltivare un mito di grandezza anche irraggiungibile, non importa, senza ossessioni di peni e vagine. E soprattutto che bisogna studiarli e conoscerli perché Omero è Omero, Saffo è Saffo, come Dante è Dante. Sarà questo delitto culturale a renderci più giusti?
Anche il male e la guerra sono pagine di umanità, il male lo è ci piaccia o no. Edulcorare la faccenda con questo mito fluido del collettivo unanime vuol dire parlare di un’umanità che non esiste, tra la Gerusalemme celeste e quella oltreumanità prefigurata da Platone nel Simposio prima che gli androgini fossero divisi a metà e cadessero sul mondo in cerca di amore. Certo, pensandoci bene, anche Platone era un maschio. Che guaio.
Ai giovani, ragazzi e ragazze, parliamo e non solo ai licei di eroi e di classicità. Perchè la tendenza alla mediocrità è il killer numero uno del contributo assoluto che ognuno può dare e ha il dovere di dare. Perchè il collettivo senza individuo è egualitarismo livellante, è quell’imboscarsi a nascondino perché ‘vai avanti prima tu’. Perchè c’è bisogno anche di sognare per essere migliori. Perchè Achille, signora Murgia, non era il suo pene, ma era invece il singolo che poteva fare la differenza. E l’ha fatta.
fonte: Agenzia DiRE
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