Omicidio Sofia Stefani, la vigile uccisa dall’ex comandante, il Riesame: «Giampiero Gualandi può uccidere ancora e inscenò la lite nell’ufficio»

L’omicidio di Anzola nell’Emilia (Bologna). Per il tribunale del Riesame, che ha rigettato la scarcerazione, Gualandi avrebbe  «una non comune freddezza» e «inquietante spregiudicatezza che ha usato nell’inquinare la scena del delitto» perché «non reggeva le pressioni di Sofia Stefani»

di Andreina Baccaro

«Una non comune freddezza», «inquietante spregiudicatezza nelle modalità di realizzazione dell’azione, assenza di remore e scaltrezza rilevante, anche sotto il profilo della volontà di inquinare il quadro probatorio». Per il tribunale del Riesame Giampiero Gualandi avrebbe inscenato l’aggressione di Sofia Stefaninei suoi confronti, al fine di simulare un delitto accidentale, «preordinando» la versione della pistola che si trovava nel suo ufficio per essere pulita.

La morte della vigile Sofia Stefani e le accuse a Giampiero Gualandi

Nelle motivazioni del provvedimento con cui hanno rigettato la richiesta di scarcerazione del difensore Claudio Benenati e confermato la custodia in carcere, i giudici Gianluca Petragnani Gelosi, Renato Poschi e Manuela Melloni smontano tutta la ricostruzione di quel 16 maggio fornita da Gualandi nell’interrogatorio.

Le motivazioni del Riesame sul rigetto della scarcerazione

Dalla presenza della pistola nell’ufficio del commissario capo («non è stata affatto fortuita bensì è stata procurata e preordinata proprio in vista del previsto incontro con Stefani, ed è stata preordinata anche la stessa giustificazione della pulizia dell’arma»), alla dedotta aggressione di Stefani nei confronti dell’indagato che presenterebbe plurimi profili di inverosimiglianza, fino alla irragionevolezza della dinamica della colluttazione che vi sarebbe stata con la vittima.

I giudici: «Ha creato scompiglio nell’ufficio per simulare»

Addirittura, ipotizzano i giudici, Gualandi avrebbe creato scompiglio gettando a terra alcune cose contenute in un armadio per simulare una «piazzata» che la donna avrebbe fatto entrando nell’ufficio, arrabbiata perché lui, dopo aver interrotto la relazione extraconiugale, rifiutava un incontro chiarificatore. Ma l’ogiva del proiettile che l’ha poi ammazzata, ritrovata sotto un sacchetto caduto proprio dall’armadio aperto e «svuotato», farebbe pensare a un disordine creato ad arte dopo lo sparo. E poi «tutto questo scompiglio, questo agitarsi con vociferare concitato, stranamente non ha prodotto rumori tali da attirare l’attenzione dei due colleghi presenti» al comando.

La dinamica dello sparo che non convince

Ma è soprattutto la dinamica dello sparo raccontata da Gualandi, oggetto di una perizia balistica, a non convincere i giudici: la donna, mentre dava in escandescenza, a un certo punto si sarebbe protesa verso l’indagato, seduto alla scrivania, «compiendo un movimento da lu interpretato come un tentativo di afferrare la pistola», appoggiata sulla scrivania.

«E tuttavia la sua reazione non è stata quella di bloccarle il braccio o il polso per impedirle di prenderla, ma è stata quella di afferrare lui stesso l’arma, anzi di impugnarla, non solo mettendo il dito sul grilletto, ma sbloccando il tasto di sicurezza del carrello, così determinando la chiusura del carrello e, di fatto, l’acquisizione della piena funzionalità micidiale dell’arma».

Le contraddizioni nella ricostruzione

Illogica appare anche la manovra dell’indagato che, con il cadavere di Sofia a terra, quando arrivano i carabinieri nell’ufficio e gli intimano di uscire, ha spostato il caricatore dalla scrivania alla scatola del kit di pulizia, dove era posizionata la pistola. Segno che dopo lo sparo il caricatore era stato nuovamente estratto e anche riarmato e lui avrebbe provato a reinserirlo, non riuscendoci perché notato dai militari.

«Non ha retto la pressione emotiva»

Per il tribunale del Riesame, è «tutt’altro che remota» l’ipotesi che Giampiero Gualandi «possa aver finito per non reggere più la pressione emotiva esercitata su di lui dagli atteggiamenti assillanti o persecutori» di Sofia Stefani, fino a perdere il controllo al punto da vedere nell’eliminazione fisica della persona che costituiva il proprio problema l’unica via d’uscita».

Per il tribunale l’ex comandante «potrebbe ancora uccidere»

E poiché in un quadro «di pesante destabilizzazione psicologica, l’indagato non è riuscito a conservare il controllo di sè», vi sarebbe secondo i giudici il «concreto ed attuale rischio che, laddove liberato, possa replicare condotte violente o lesive, anche gravi, in presenza di analoghe condizioni di accentuato stress e di malessere psicofisico». Per questo, scrivono, deve restare in carcere. Il suo difensore Claudio Benenati si prepara ora a fare ricorso in Cassazione.

 

 

FONTE: CORRIERE DI BOLOGNA

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