Dall’inizio dell’anno sono già 160 le vittime nel Mediterraneo centrale
L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) hanno raccolto «testimonianze accurate» sul naufragio avvenuto sabato 20 febbraio nel Mediterraneo centrale, che confermano l’annegamento di almeno 41 persone.
L’Unhcr e l’Oim riferiscono che 120 persone si trovavano su un gommone partito dalla Libia, fra le quali sei donne, di cui una in stato di gravidanza, e quattro bambini. Dopo circa 15 ore, il gommone ha cominciato ad imbarcare acqua e le persone a bordo hanno provato in ogni modo a chiedere soccorso. In quelle ore, sei persone sono morte cadendo in acqua mentre altre due, avendo avvistato un’imbarcazione in lontananza, hanno provato a raggiungerla a nuoto, annegando. Dopo circa tre ore, la nave Vos Triton si è avvicinata, ma nella difficile e delicata operazione di salvataggio molti migranti si sarebbero spostati contemporaneamente su un lato del gommone, che si è rovesciato in mare. Solo un corpo è stato recuperato. Fra i dispersi ci sarebbero tre bambini e quattro donne, di cui una lascia un neonato attualmente accolto a Lampedusa. Una tragedia che potrebbe avere un bilancio perfino maggiore. Da giorni, infatti, non si hanno notizie di un barcone alla deriva con almeno novanta persone.
Ad oggi, ricordano le due agenzie umanitarie, «sarebbero già circa 160 le vittime del 2021 nel Mediterraneo centrale. Lungo tutta la rotta che porta, attraverso la Libia, al Mediterraneo centrale, sono decine di migliaia le persone vittime di inenarrabili brutalità per mano di trafficanti e miliziani». Su oltre 3.800 persone arrivate in Italia via mare dal primo gennaio al 21 febbraio scorso, 2.527 sono partite dalle coste libiche.
Secondo i dati raccolti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni «nello stesso periodo sono state oltre 3.580 le persone intercettate in mare e riportate in Libia, dove — costrette a subire una condizione di detenzione arbitraria — corrono il rischio di diventare vittime di abusi, violenze e gravi violazioni di diritti umani». L’Unhcr e l’Oim hanno ribadito in una nota congiunta che «la Libia non è da considerarsi un porto sicuro» e deve essere fatto ogni sforzo affinché le persone recuperate in mare non vi vengano riportate. In linea con gli obblighi internazionali il dovere di salvare persone alla deriva in mare deve sempre essere rispettato, indipendentemente dalla loro nazionalità e dallo status giuridico.
Il fatto che rifugiati e migranti continuino nel tentativo disperato di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo centrale è la riprova della necessità di uno sforzo internazionale immediato per offrire ad essi alternative valide. «Le soluzioni — concludono — ci sono, ciò che serve è un cambio di passo per rafforzare l’accesso all’istruzione e per aumentare i mezzi di sostentamento disponibili nei Paesi lungo la rotta».
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