IL PROCURATORE CAPO DI TRANI A BARLETTA

“La forza della mafia è il silenzio; solo noi possiamo fermare tante ingiustizie… tutti i cittadini  devono essere i primi a parlare, perché senza di loro non si può far nulla”

Con queste frasi cariche di significato, si è concluso il dialogo sulla giustizia e legalità tenutosi presso la Concattedrale di Barletta, dove il Procuratore Capo di Trani, dott. Renato Nitti, ha raccontato e commentato la storia vera di un pentito della mafia barese.

Una storia che, in una intervista a noi rilasciata, ha definito forte dal punto di vista umano, avendo toccato con mano quanto forte può essere il vincolo mafioso, arrivando a definirlo “più forte del rapporto che lega una madre ad un figlio”  ma non difficile dal punto di vista professionale.

L’evento tenutosi, che rientrava nella serie di incontri incentrati sul tema delle icone, fra arte, territorio e vita, “Icone di Cris(t)i”, ha ben centrato l’intento di parlare e indicare le situazioni di crisi che caratterizzano il nostro territorio e delle relazioni quotidiane dove possiamo intravedere l’icona di Cristo, il tutto ha quindi portato alla domanda su chi fossero i “Poveri cristi”, dato il titolo della serata: ”faccio un esempio e torno al caso di cui parlavamo prima. In quella occasione, il pentito, come tutti coloro che decidono di intraprendere la strada della collaborazione con la giustizia, era già provato da una scelta che, comunque vada, è irreversibile, perché agli occhi dei clan sarebbe stata letta come infamità, da punire non soltanto con l’isolamento ma nel peggiore dei modi. Ma in quel caso anche la famiglia decise nell’immediato di abbandonare il figlio, proprio perché si era macchiato di infamità: sarebbe stato meglio per loro, dissero, se quel figlio fosse morto.

Ma la stessa famiglia non fece in tempo ad attuare il proposito di abbandonare alla sua sorte il figlio, perché nel volgere di meno di un’ora, il clan devastò la loro casa approfittando della loro assenza, di fatto comunicando loro che tutti quanti, non soltanto il figlio, erano infami.

Si partiva da una brutta, ma purtroppo non rara, vicenda di omicidi, controllo mafioso di un quartiere, spaccio di stupefacenti, ma si aprì un abisso nel quale tutto sembrava sprofondare sempre più in basso, oltre ogni limite.”

L’illustre relatore, durante la serata, ha sapientemente coinvolto i presenti, immergendoli idealmente nell’ascolto delle dichiarazioni di un pentito quasi come in un componimento teatrale, facendosi aiutare dalla voce narrante di un Maresciallo della Guardia di Finanza, ricreando l’atmosfera di una qualsiasi Procura o Commissariato alle prese della verbalizzazione di dichiarazioni minuziose di un’attività investigativa da cui partire per “condurre in porto” un’indagine che possa sfociare alla “cattura” dei malviventi.

Una storia che parte dallo spacciatore operante dinanzi ad una scuola di Bari, che riesce ad imporre la forza dell’illegalità, forte del silenzio complice non solo dei suoi “clienti” diventati nel frattempo a loro volta “spacciatori” all’interno dell’istituto scolastico, ma anche degli adulti che vedono in quella presenza inquietante e illegale, una sorta di presidio della sicurezza in barba all’ordine precostituito. Poi di colpo arriva per il piccolo spacciatore, la necessità di “pentirsi” per salvare la propria vita e ciò per evitare di diventare lui stesso carnefice di un altro “suo collega” raggiunto da ravvedimento e come tale divenuto scomodo per l’organizzazione criminale.

Una riflessione è stata anche doverosa, pensando proprio alla nostra realtà, dove ormai vediamo e viviamo molti episodi che fanno paura e portano così  Barletta sui giornali nazionali con notizie non di vanto, omicidi, oppure in ultimo lo spaccio nel centro storico e non solo…

Savio Rociola

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