A colloquio con il reggente della Penitenzieria apostolica in occasione del corso sul Foro interno
Un buon confessore è colui che riesce a spalancare le porte del cielo ai fedeli. È una affermazione di un valore incalcolabile e di perenne attualità. È soprattutto in momenti drammatici della storia, come quello che stiamo vivendo a causa della pandemia da covid-19, che c’è bisogno di buoni confessori.
Ne parla in questa intervista a «L’Osservatore Romano» monsignor Krzysztof Nykiel, reggente della Penitenzieria apostolica, in occasione dell’annuale corso sul Foro interno, che si svolge online, dall’8 al 12 marzo.
«Quello di quest’anno — spiega — è il trentunesimo corso che la Penitenzieria apostolica organizza annualmente, per illustrare le materie di sua competenza attinenti al Foro intero e, più in generale, alcuni temi particolarmente significativi connessi con l’esercizio del ministero del confessore. A causa della pandemia, l’attuale edizione si terrà esclusivamente da remoto in modalità telematica. Dopo che l’anno scorso l’emergenza sanitaria ci ha costretto ad annullare l’iniziativa, quest’anno abbiamo preso tutte le misure necessarie per garantire il sereno svolgimento del corso attraverso le risorse che ci offrono gli strumenti digitali. Circa 900 iscritti potranno così seguire le conferenze da casa: con un certo orgoglio, vorrei far notare che si tratta probabilmente dell’evento virtuale più rilevante, in termini numerici, organizzato finora da un organismo della Curia romana dal tempo della pandemia».
A chi è rivolto il corso e quale scopo intende raggiungere?
Il corso è rivolto ai novelli sacerdoti, ai seminaristi prossimi all’ordinazione e a tutti i sacerdoti interessati nel quadro della loro formazione permanente. Quello della necessità della formazione per i confessori è, infatti, uno dei temi che più sta a cuore a Papa Francesco. Ce lo ha ricordato da ultimo in occasione dell’udienza ai partecipanti al corso del 2019, affermando che «l’importanza del “ministero della misericordia” giustifica, esige e quasi ci impone un’adeguata formazione, perché l’incontro con i fedeli che domandano il perdono di Dio sia sempre un reale incontro di salvezza, nel quale l’abbraccio del Signore sia percepito in tutta la sua forza, capace di cambiare, convertire, risanare e perdonare». Sulla scia delle parole del Santo Padre, vorrei puntualizzare che, quando si parla di necessità della formazione, si intende che non basta conoscere la teoria, gli aspetti tecnici, peraltro necessari. Sarà un buon confessore solo chi riuscirà a spalancare le porte del cieli ai penitenti, perché egli stesso per primo ha potuto sperimentare nella sua vita l’amore misericordioso del Padre su di lui.
La lectio magistralis del penitenziere maggiore in apertura dei lavori ha avuto per tema il ruolo del sacramento della riconciliazione in ordine al conseguimento della santità. Che rapporto c’è tra confessione e santità?
Non è certamente un caso che il cardinale Mauro Piacenza, penitenziere maggiore, abbia scelto di inaugurare il corso con una lectio sul ruolo del sacramento della riconciliazione per il conseguimento della santità. Sappiamo bene, infatti, come l’invito alla santità sia il cuore del messaggio di alcuni dei più recenti documenti di Papa Francesco, in particolare delle esortazioni apostoliche Gaudete et exsultate (19 marzo 2018) e Christus vivit (25 marzo 2019), e come del resto il sacramento della penitenza ci sostenga e ci dia continuamente slancio e vigore nel nostro cammino verso la santità. Dio non si stanca mai di perdonarci! L’assoluzione impartita dal sacerdote ci permette di rialzarci, ci offre il perdono di Dio e la possibilità di ricominciare sempre di nuovo. Vorrei ricordare, inoltre, come tanti santi e sante nel corso della storia hanno sperimentato l’efficace medicina del sacramento della misericordia sulle loro vite. Come non ricordare almeno la figura di santa Faustina Kowalska (1905-1938), la suora polacca cui il Signore si è rivelato quale misericordia infinita e che per questo Giovanni Paolo ii volle decorare del titolo di apostola della divina misericordia? Mi preme molto sottolineare, infine, l’importanza del sacramento della riconciliazione nel raggiungimento della santità degli stessi confessori. Anche qui il pensiero corre subito a due giganti del confessionale, padre Pio da Pietrelcina e Leopoldo Mandic, non a caso scelti nel 2015 da Papa Francesco come patroni del giubileo straordinario della misericordia.
Tra le novità di quest’anno, una specifica relazione sarà dedicata alla recente Nota della Penitenzieria apostolica sull’importanza del foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale. Di che si tratta?
Il 29 giugno 2019, su precisa volontà e con l’approvazione di Papa Francesco, la Penitenzieria pubblicava una Nota sull’importanza del foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale. Con tale documento, il nostro tribunale ha voluto porre l’accento su alcuni temi centrali nella teologia, nel diritto e nella prassi della Chiesa, che tuttavia, nel nostro tempo, risultano poco chiari o non sufficientemente comprensibili non solo all’opinione pubblica e ai fedeli, ma talvolta anche allo stesso clero. Così, difendere l’assoluta inviolabilità del sigillo sacramentale, ovvero quello speciale segreto che copre il contenuto della confessione, è esigenza imprescindibile non solo per lealtà nei confronti del penitente, ma in primo luogo per rispetto alla santità del sacramento. Come recita una celebre espressione attribuita a san Tommaso d’Aquino, infatti, il sacerdote confessore viene a conoscenza dei peccati del penitente «non come uomo, ma come Dio». Al contempo, la nota si occupa anche della speciale riservatezza garantita dal diritto canonico agli atti di foro interno che si compiono al di fuori della penitenza sacramentale ma che attengono comunque alla sfera più intima e personale di ciascun fedele. L’esempio classico a riguardo è quello della direzione spirituale. Anche tale ambito richiede segretezza, al fine di salvaguardare in primo luogo il diritto dei fedeli e prevenire qualsiasi possibile abuso di potere.
Un altro intervento in programma insisterà sulle modalità per incentivare la celebrazione del sacramento. Stiamo vivendo una crisi della confessione?
Non è semplice dare una risposta. In alcune aree del cosiddetto mondo occidentale, in effetti, sembra registrarsi negli ultimi anni un certo calo delle confessioni, calo che va di pari passo con una più generale crisi del sentimento religioso. Credo che la causa di questo sia da individuare nella pretesa dell’uomo di sostituirsi a Dio. Dio è visto come antagonista, concorrente della felicità, una presenza di cui poter fare a meno senza problemi: è l’Io che si sostituisce a Dio. È altrettanto vero, però, che in molte aree del mondo (si pensi all’America latina, al continente africano e ad alcuni Paesi asiatici) la fede cristiana cresce e si diffonde e con essa, naturalmente, la pratica della confessione. Come incentivare e proporre la bellezza del sacramento della riconciliazione? Anzitutto, ogni sacerdote sperimenta su di sé, prima ancora che sugli altri, il perdono di Dio: non si può essere un buon confessore senza essere un buon penitente. I sacerdoti, poi, dedichino tempo alla celebrazione del sacramento. Fa veramente male vedere talvolta, in alcune parrocchie, i confessionali deserti, abbandonati, senza nemmeno un’indicazione dell’orario per potersi confessare. È evidente che così si spegne l’iniziativa dei fedeli che mossi dallo Spirito desiderano accostarsi al sacramento. Tutti i grandi santi confessori, invece, rimanevano ore e ore al confessionale, senza risparmiarsi mai, in attesa di accogliere con gioia e amore il figlio prodigo, facendosi umili strumenti della tenerezza di Dio. Infine, credo sia essenziale promuovere sempre di più la celebrazione del sacramento come momento liturgico vissuto a livello di comunità e di parrocchia, ma anche di vicaria o di zona pastorale.
Tra pochi giorni, il 13 marzo, ricorre l’ottavo anniversario dell’elezione di Papa Francesco. Che spazio ha il tema della misericordia di Dio nel suo pontificato?
Sarebbe impossibile ricordare tutti gli innumerevoli interventi, ma anche i gesti e le azioni con cui Papa Francesco ha reso manifesta l’attenzione centrale da lui riservata, fin dai primi giorni successivi all’elezione, al tema della misericordia divina. Dio è misericordia! Questo è il cuore di tutto l’annuncio cristiano, messo fortemente in rilievo nel 2015-2016 con il Giubileo straordinario della Misericordia. Questo mi pare, in estrema sintesi, il cuore del messaggio di Papa Francesco alla Chiesa e al mondo. La Pasqua di Gesù non è un avvenimento del passato: per la potenza dello Spirito Santo è sempre attuale e ci permette di guardare e toccare con fede la carne di Cristo in tanti sofferenti». Sta a noi non lasciar cadere nel vuoto questo appello a lasciarci riconciliare con Dio.
fonte: L’Osservatore Romano
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