Haiti, liberato il prete rapito dalle gang. L’arcidiocesi: la spirale del male divora il Paese

Indignazione e dolore per una situazione che dimostra un “imprigionamento passivo nella spirale del male”, che divora la società haitiana, erano stati espressi dall’arcivescovado di Port-au-Prince in un comunicato del primo luglio, quando aveva denunciato quanto avvenuto, definendolo “atti inqualificabili di violenza mortale”. Nel testo si descriveva il religioso rapito come un pastore, “che non ha mai abbandonato la comunità di cui è responsabile”, si legge nel testo dell’arcivescovado, “e che è sempre disponibile a servire gli uni e gli altri”. L’appello per la liberazione di padre Saintéliat L'arcivescovado di Port-au-Prince, aveva inoltre indicato come l’accaduto testimoni che “alcune zone della regione metropolitana di Port-au-Prince sfuggono ancora al controllo delle forze pubbliche”, esprimenedo indignazione “di fronte a questi atti che deliberatamente violano i diritti dei membri della popolazione” e riaffermando “la sua vicinanza a tutte le vittime e alle loro famiglie". Nel comunicato si ricordava “alle autorità dello Stato l'urgenza di intraprendere azioni che mettano fine a questa situazione di violenza e ristabiliscano il diritto alla vita nel Paese”.

Padre Emmanuel Saintéliat, sequestrato domenica scorsa, è stato rilasciato dai banditi che avevano attaccato il comune di Gressier e ucciso venti persone. La conferma della liberazione è arrivata dall’arcivescovado, che in una nota aveva chiesto alle autorità di mettere fine alla violenza e ristabilire il diritto alla vita

Vatican News

È libero il sacerdote della parrocchia di San Giovanni Battista, padre Emmanuel Saintéliat, rapito domenica scorsa dai membri di una gang che avevano devastato una zona della regione metropolitana della capitale Port-au-Prince, il Comune di Gressier. A confermare la liberazione è stato l’arcivescovado di Port-au-Prince, secondo fonti giornalistiche non sarebbe stato pagato il riscatto. Venti almeno le persone rimaste uccise nell’attacco condotto dalle bande armate di Vivre Ensemble (Vivere insieme), guidate dall’ex agente di polizia Jimmy Cherizier, che avevano assalito la sottostazione di polizia di Gressier.

Cherizier è conosciuto per essere all’origine del caos nel Paese e della richiesta di dimissioni, avvenute a marzo, dell’allora premier Ariel Henry. A Gressier, i gruppi armati hanno bruciato le abitazioni e causato il panico all’interno della comunità, nonostante la presenza, ormai da diversi giorni, del contingente di pace guidato dal Kenya. La polizia ha ora ripreso il controllo della stazione.

La denuncia dell’arcidiocesi

Indignazione e dolore per una situazione che dimostra un “imprigionamento passivo nella spirale del male”, che divora la società haitiana, erano stati espressi dall’arcivescovado di Port-au-Prince in un comunicato del primo luglio, quando aveva denunciato quanto avvenuto, definendolo “atti inqualificabili di violenza mortale”. Nel testo si descriveva il religioso rapito come un pastore, “che non ha mai abbandonato la comunità di cui è responsabile”, si legge nel testo dell’arcivescovado, “e che è sempre disponibile a servire gli uni e gli altri”.

L’appello per la liberazione di padre Saintéliat

L’arcivescovado di Port-au-Prince, aveva inoltre indicato come l’accaduto testimoni che “alcune zone della regione metropolitana di Port-au-Prince sfuggono ancora al controllo delle forze pubbliche”, esprimenedo indignazione “di fronte a questi atti che deliberatamente violano i diritti dei membri della popolazione” e riaffermando “la sua vicinanza a tutte le vittime e alle loro famiglie”. Nel comunicato si ricordava “alle autorità dello Stato l’urgenza di intraprendere azioni che mettano fine a questa situazione di violenza e ristabiliscano il diritto alla vita nel Paese”.

 

fonte: Vatican News

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