L’impegno del Bambino Gesù sulle patologie “non redditizie”
di Mariella Enoc
Presidente Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
«Nessuno è più povero, forse, di chi non sa neanche il nome della malattia da cui è segnato o condannato». Mi espressi così, lo ricordo ancora, di fronte al Santo Padre, il giorno che ebbi l’onore di accompagnare per la prima volta in udienza nell’Aula Paolo vi la comunità dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Era il 15 dicembre del 2016 ed ero da meno di un anno alla guida di questo grande Ospedale di proprietà della Santa Sede. Al Papa «venuto dall’altra parte del mondo», al Papa delle periferie geografiche ed esistenziali, volli presentare concretamente, sulla base dell’esperienza sul campo, la malattia come «periferia dolorosa dell’esistenza umana». Soprattutto le malattie gravi, ovviamente, le malattie croniche — che ci accompagnano per tutta la vita — e in particolare le malattie rare e ultra-rare, quelle che restano per anni o per sempre non solo prive di cure risolutive, ma persino orfane di diagnosi, senza una spiegazione, senza nemmeno un nome che possa almeno identificarle. Milioni di persone di tutto il mondo, soprattutto bambini, vivono questa dolorosa condizione esistenziale, con ricadute ovviamente rilevanti sul piano personale, familiare, economico e sociale. A loro è dedicata la Giornata mondiale che si svolge domenica 28 febbraio, cui partecipa anche il nostro ospedale.
Il Bambino Gesù gestisce in Italia la più grande casistica nazionale di malati rari in età pediatrica: oltre 15.000 bambini e ragazzi seguiti dai nostri medici e dai nostri ricercatori. Il più grande contributo che possiamo offrire a loro e alle loro famiglie è una speranza di cura e, se possibile, di guarigione. La prima forma di carità per un Ospedale è la sua “scienza”, cioè la capacità della sua ricerca scientifica di progredire e di farsi cura. «Non c’è cura senza ricerca», ci ha ricordato Papa Francesco nell’udienza per i 150 anni dell’Ospedale, il 16 novembre 2019: «E non c’è futuro, nella medicina, senza ricerca». Ecco perché abbiamo investito molto, negli ultimi anni, in questa direzione, a partire dall’inaugurazione, nel 2014, dei grandi laboratori di ricerca di San Paolo fuori le mura, proprio accanto alla basilica: oltre 5.000 metri quadrati di spazi attrezzati con le più moderne tecnologie per le indagini genetiche e cellulari. Vi lavorano circa 500 ricercatori, a cui si aggiungono altri 300 tra clinici e tecnici impegnati anch’essi nella ricerca sulle altre sedi dell’ospedale. Un investimento significativo sul piano professionale, tecnologico e infrastrutturale, che ha dato e sta dando risultati importanti in termini di produzione scientifica e di risposte ai pazienti, che non a caso raggiungono l’ospedale da tutta Italia e da tutto il mondo.
Dal 2015, in particolare, è in corso un progetto di genomica dedicato ai pazienti rari e ultra-rari orfani di diagnosi. Lo scopo è quello di trasferire alla pratica clinica le potenzialità delle nuove tecnologie di sequenziamento del genoma umano, in grado di individuare, all’interno della variabilità genetica e con l’ausilio di analisi bioinformatiche complesse, quelle singole mutazioni che causano la malattia. Il progetto, nato in occasione del Giubileo della Misericordia e sostenuto dalla Fondazione Bambino Gesù Onlus attraverso i canali di fundraising, ha permesso di identificare a oggi una cinquantina di nuovi geni-malattia e di caratterizzare o riclassificare alcune decine di “nuove” malattie. Gli sforzi della ricerca si traducono in azioni concrete sul piano dell’assistenza. Per ridurre la cosiddetta “odissea diagnostica” a cui sono sottoposte le famiglie, è stato attivato un ambulatorio dedicato ai pazienti affetti da malattie senza nome che offre consulenze a distanza, in rete con gli altri specialisti che in tutta Italia e in Europa si occupano di queste patologie. Questo sistema, fondato sulla telemedicina e la teleconsulenza, ha consentito di raggiungere una diagnosi nel 60 per cento circa dei pazienti arruolati nel programma.
Fin qui quello che noi possiamo fare per i bambini con patologie rare e ultra-rare. Ma la cosa forse più importante è quello che loro e le loro famiglie fanno ogni giorno per noi. Con il loro coraggio, la loro determinazione, la loro speranza queste famiglie ci donano più di quanto non ricevano. Ci insegnano che le difficoltà si affrontano e si superano solo insieme, facendo rete, sostenendosi l’un l’altro. Ci donano concretamente la “loro” ricerca, perché studiare e curare le malattie rare ci aiuta a curare meglio anche le malattie meno rare. Ci testimoniano, soprattutto, con il loro amore che ogni bambino è “raro”, al di là di qualsiasi malattia, perché ogni bambino è unico e speciale. Questa è la lezione che apprendiamo ogni giorno, come ospedale e come Chiesa.
I costi della ricerca e della cura, soprattutto nel campo delle malattie rare, sono molto alti. Non c’è “ritorno economico”. Altri mercati sono sicuramente più redditizi per chi vuole fare utili facili nel campo della salute e della malattia. Ma allora perché lo facciamo? Perché ci occupiamo, come ospedale della Santa Sede, di malattie neglette, malattie dimenticate, malattie che possono riguardare un solo caso su un milione? Lo facciamo perché il nostro dovere e la nostra sfida, fin dal primo giorno, è quello di curare i piccoli infermi, anche se non è conveniente, anche se non è redditizio. Non ci sono vite che valgono meno. L’impegno nella ricerca, per il Bambino Gesù, è l’unica risposta possibile alla cultura dello scarto e dell’indifferenza.
fonte: Osservatore Romano
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