Il Papa scrive agli organismi di aiuto alla Chiesa sudamericana che partecipano all’incontro promosso a Bogotá, in Colombia, dalla Pontificia Commissione dell’America Latina: se perdiamo la consapevolezza del dono diventiamo “schiavi del denaro e, soggiogati dalla paura di non avere, diamo il cuore al tesoro della falsa sicurezza economica, dell’efficienza amministrativa, del controllo, di una vita senza sussulti”
La riflessione di Papa Francesco, contenuta nel messaggio rivolto ai partecipanti all’incontro con le istituzioni e gli organismi di aiuto alla Chiesa in America Latina – in corso da ieri e fino all’8 marzo a Bogotá, in Colombia – si articola intorno al tema della gratuità. Il Papa ne parla facendo riferimento alla naturale attesa dei risultati che segue l’offerta di aiuti, attesa che potrebbe apparire però in contrasto con l’atteggiamento evangelico del dare senza aspettarsi nulla in cambio.
Tutto ciò che abbiamo ci è stato dato gratuitamente
Per rispondere a queste dinamiche opposte – la gratuità e la pretesa dei frutti, la cui mancanza potrebbe essere considerato un fallimento – Francesco suggerisce di guardare a ciò che Gesù ci chiede nel Vangelo ponendosi, come farebbe un giornalista, alcune domande: “Chi dà? Cosa dà? Dove dà? Come dà? Quando dà? Perché dà? Per cosa dà?”.
In risposta alla prima domanda – Chi dà? – la Scrittura ci spiega che ciò che diamo non è altro che ciò che abbiamo ricevuto gratuitamente. Dio è Colui che dà e noi siamo solo amministratori di beni ricevuti, perciò non dobbiamo gloriarci, né esigere un compenso maggiore di quello del proprio salario, assumendoci con umiltà la responsabilità che questo dono ci richiede.
I doni di Dio, segni del suo amore
La risposta alla seconda domanda, “cosa ci dà il Signore”, è facile. “Ci ha dato tutto – afferma Francesco – Ci ha dato la vita, la creazione, l’intelligenza e la volontà di essere padroni del nostro destino, la capacità di relazionarci con Lui e con i fratelli. Inoltre, ci è stato dato Lui stesso infinite volte” fino al sacrificio in Croce e al dono dell’Eucaristia e dello Spirito Santo. Tutto ciò che abbiamo, prosegue il Papa, o è Lui stesso o è una manifestazione del suo amore.
Se perdiamo questa consapevolezza nel dare e anche nel ricevere, snaturiamo la sua essenza e la nostra. Da amministratori solleciti di Dio, diventiamo schiavi del denaro e, soggiogati dalla paura di non avere, diamo il cuore al tesoro della falsa sicurezza economica, dell’efficienza amministrativa, del controllo, di una vita senza sussulti.
La fedeltà del Signore in mezzo al suo Popolo
Ma dove Dio si dà a noi? Francesco osserva che fin dalla creazione il Signore ha preso “il nostro fango nelle sue mani”, ci ha amati nelle nostre infedeltà e nei nostri peccati. “Dio – scrive- si dà, in una parola, in mezzo al suo Popolo” e il nostro dare non può non tener conto di questo.
Non evitiamo quindi chi è cieco, chi resta a terra sul ciglio della strada, chi è coperto di lebbra o di miseria, piuttosto chiediamo al Signore di essere capaci di vedere ciò che impedisce loro di affrontare le proprie difficoltà.
La gratuità è imitare Gesù
Infine, il Signore si dà a noi “sempre e totalmente”, senza limiti, aspettandoci e perdonandoci sempre, facendosi povero per arricchirci. Questo è ciò che Dio fa:
Pertanto, possiamo concludere che la gratuità è imitare il modo in cui Gesù si dona a noi, suo Popolo, sempre e totalmente, nonostante la nostra povertà. E perché? Per amore. Perché, come direbbe Pascal, l’amore ha le sue ragioni che la ragione non conosce.
Abbracciare la croce non è segno di fallimento
Il Papa ripropone le parole sulla carità di San Paolo che nella sua prima lettera ai Corinti conclude: “Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”, per affermare che “l’amore non ha un’agenda, non colonializza, ma si incarna, diventa uno di noi, meticcio, per rendere nuove tutte le cose”. Allora lo sforzo di dare, come fanno le istituzioni e gli organismi di aiuto alla Chiesa in America Latina a cui sono indirizzate le parole del Papa, “non è inutile”, è imitare Gesù, e abbracciare la croce “non è segno di fallimento” ma significa unirsi alla sua missione. Francesco conclude:
È toccare concretamente la ferita di quel fratello, di quella comunità, che ha un nome, che ha un valore infinito per Dio, per dargli luce, rafforzare le sue gambe, mondare la sua miseria, offrendogli l’opportunità di rispondere al progetto di amore che il Signore ha per lui, chiedendo in ginocchio che, giungendo lì, Gesù trovi fede in quella terra.
fonte: Vatican News
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