Essere cattolici e essere politici. La profezia di don Sturzo

Don Luigi Sturzo

Centocinquant’anni fa, nel novembre del 1871, nasceva a Caltagirone don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare, “apostolo” dell’impegno dei cattolici in politica. A lui e al liberale Gaetano Salvemini è stata dedicata una bella pièce teatrale a firma di Giovanni Grasso, capo ufficio stampa del Quirinale

Laura De Luca – Città del Vaticano

Basandosi su testi originali di entrambi i personaggi storici, Giovanni Grasso, portavoce del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha immaginato in un atto unico dal titolo ‘Fuoriusciti’, un incontro negli USA degli anni venti-trenta, quando entrambi, don Luigi Sturzo e Gaetano Salvemini, erano esuli dall’Italia fascista. Prodotto dallo Stabile di Brescia per la stagione 2019 -2020 con le interpretazioni di Antonello Fassari (don Sturzo) e Luigi Diberti (Salvemini) lo spettacolo è stato purtroppo sospeso causa pandemia e presenta due figure per molti versi speculari in quanto opposte, ma soprattutto documenta un rapporto basato su una grande capacità di dialogo, nonostante tutte le differenze. Ne parliamo con lo stesso Giovanni Grasso:

Sturzo e Salvemini: due personaggi meno lontani di quanto si possa immaginare… E in che cosa furono vicini?

R. – Io credo che i grandi personaggi della storia (Sturzo e Salvemini sono protagonisti forse non troppo conosciuti del secolo scorso) mostrino la loro grandezza proprio nella capacità di superare i limiti temporali della loro vicenda personale e lasciare insegnamenti anche a chi viene dopo. Credo che da entrambi venga un lascito universale che va oltre i loro tempi, forse da Sturzo di più perché era un teorico, un filosofo della politica, Salvemini invece spese la sua vita nella politica contingente, non fece progetti a lunghissima scadenza…

Definirli universali ci impedisce però di definirli attuali o di pensarli comunque modelli anche per un tempo come il nostro che, al netto dell’emergenza sanitaria planetaria, non sembrerebbe presentare affinità con il loro tempo. Allora si viveva in una dittatura dichiarata. E dunque quali suggerimenti possono provenire da Sturzo e Salvemini per il nostro presente?

R. – L’insegnamento fondamentale è questo amore fortissimo, senza mediazioni nè compromessi, per la libertà. La libertà e la democrazia vengono prima di qualsiasi altro pensiero o progetto. Ora, se questo è facilmente comprensibile per un personaggio come Salvemini, che veniva dal socialismo liberale, che era un democratico, nel caso di Sturzo è ancora più interessante perché a quel tempo non tutti i religiosi avevano un’idea così forte della libertà e della democrazia. Al contrario: c’erano fortissime tendenze teocratiche contro cui Sturzo però si è sempre battuto. Del resto, nella storia, quasi mai si possono fare paragoni fra diverse epoche. Però alcuni aspetti sono interessanti. Per esempio si discute oggi – ed è uno dei maggiori crinali di divisione fra i vari Paesi – fra approccio multilaterale e nazionalista (o sovranista). Tutta la predicazione di Sturzo, fin dagli anni dell’esilio, ovvero dal 1924 in poi, è fortemente critica verso il nazionalismo, che si cominciava a manifestare nelle varie dittature. E su questo il discorso è attuale ancora oggi. Comunque non mi spingerei oltre nel cercare similitudini fra le due epoche. Vorrei solo sottolineare che coloro che hanno combattuto per la libertà, che hanno preferito la via dell’esilio piuttosto che “accomodarsi” in Italia contro la propria coscienza e il proprio sistema di valori (una scelta storica che avrebbe potuto portare anche al sacrificio della vita) sono persone che meriteranno sempre nei secoli futuri il diritto alla memoria.

C’è un passaggio del suo testo in cui lei mette in bocca a don Sturzo (quasi tutta la pièce è basata su testi originali, NdR) l’accusa contro la classe politica post-unitaria di aver imposto dall’alto modelli uguali per tutti. Una unificazione rigida e centralizzata. Questo “errore” è ancora il nostro?

R. – Naturalmente è nota la polemica di Sturzo sullo stato accentratore, sui piemontesi che arrivano in Italia e impongono regole uguali per tutti in un territorio geograficamente ma anche socialmente e culturalmente molto diverso. Da quello che leggo sui giornali mi sembra che il tema oggi sia un po’ all’opposto: si dovrebbero riportare allo stato centrale alcune competenze che sono state elargite con eccessivo ottimismo alle regioni. E lo si è visto con la pandemia. Oggi poi usiamo erroneamente il termine “federale”, visto che il federalismo è un movimento verticale, che unisce stati divisi. Sturzo stesso infatti parlava piuttosto di regionalismo, della possibilità di dare più poteri alle regioni, e alle comunità locali la possibilità di organizzarsi autonomamente. Un tema, come lo pone Sturzo, molto attuale. Certamente sono molto attuali le denunce che sia Sturzo che Salvemini facevano sull’arretratezza del meridione. E va ricordato che erano entrambi meridionali e meridionalisti (Sturzo siciliano, Salvemini pugliese, NdR). Questa arretratezza – oggi si direbbe questo divario economico Nord-Sud – è ancora uno dei problemi irrisolti dell’Italia contemporanea.

Il titolo della sua pièce è “Fuoriusciti”. Esilio e fuga. Pensando a quella stagione politica, dove è il confine? Non si ritirarono sull’Aventino, ma di fatto se ne andarono….

R. – È bene precisare. Abbiamo parlato dei due personaggi come fossero quasi gemelli. Ma a livello politico non condividevano quasi nulla. Si stimavano, ma si scontravano molto. Ecco, questo sarebbe tra l’altro un particolare importante sul piano istruttivo: sapevano dirsi anche cose sgradevoli, ma il livello del loro dialogo era sempre elevato. Per Sturzo si può sempre costruire una democrazia con una Chiesa al suo interno. Per Salvemini bisogna tappare la bocca ai preti, ovvero impedire comunque loro che facciano politica. Per Salvemini non esiste una politica cattolica, che resta comunque un fenomeno confessionale. Ovviamente Salvemini è condizionato dal giudizio storico sui rapporti fra Chiesa e fascismo. Sturzo invece, più lungimirante è certo che la Chiesa cambierà, perché la storia evolve. Poi di fatto entrambi dovranno scappare per salvare la pelle. E lo dichiarano non solo nel mio testo, ma nelle loro lettere. Sturzo fu minacciato, inseguito, ci fu poi un intervento della Segreteria di Stato per mandarlo un anno all’estero, e per farlo rientrare  quando le acque si fossero calmate. Tornò dopo 24 anni. Quanto a Salvemini, era sotto processo a Firenze per una pubblicazione antifascista clandestina, “Non mollare”. All’uscita dal tribunale le squadracce fasciste erano pronte ad ammazzarlo. Grazie all’avvocato, lui uscì dalla porta posteriore, si rifugiò dai fratelli Rosselli, i fascisti devastarono la sua casa e quindi anche quella dei Rosselli. Capì che anche lui era ormai destinato all’esilio. Un esilio non volontario, ovviamente: entrambi avevano capito che se fossero restati, avrebbero rischiato la vita. Sturzo sapeva che sarebbe finito come don Minzoni, ucciso poco tempo prima dai fascisti perché difendeva gli scout cattolici…

A proposito di Sturzo lei ha parlato di preveggenza. Fu abbastanza profeta, secondo lei? E al suo sogno circa l’impegno politico dei cattolici, che cosa è mancato per potersi davvero realizzare?

R. – Tornato dall’esilio, non riuscì più a legarsi con i vecchi compagni, non gli piaceva il nome “Democrazia cristiana”, si sentiva un po’ esule in patria, ebbe anche forti polemiche con la dirigenza di De Gasperi. Ma io credo si possa dire che questo suo desiderio di libertà nella Chiesa, per la Chiesa e per tutti, abbia fatto di lui un grande anticipatore del Concilio Vaticano II, di quella libertà religiosa, base di tutte le altre libertà, e da cui discende l’accettazione del metodo democratico da parte della Chiesa stessa. E Sturzo ha teorizzato tutto ciò con quasi mezzo secolo di anticipo.

 

fonte: Vatican News

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