È morto Alain Delon, aveva 88 anni

L’attore è morto all’età di 88 anni, era da tempo malato: l’annuncio dato dai tre figli alla France Presse. Stella del cinema, protagonista di film indimenticabili (a partire da «Il Gattopardo» e «Rocco e i suoi fratelli»), è stato al centro di una violenta lite familiare tra i figli e l’ultima compagna. Pochi mesi fa aveva detto: «Voglio morire, la mia vita è finita»

di Maurizio Porro

Alain Delon è morto. L’annuncio è stato dato dai tre figli all’agenzia di stampa francese France Presse. L’attore, uno dei volti più noti del cinema mondiale, aveva 88 anni; colpito da un ictus nel 2019, era da tempo affetto anche da un grave linfoma«Alain Fabien, Anouchka, Anthony, così come (il suo cane) Loubo, annunciano con immensa tristezza la dipartita del loro padre», si legge nel comunicato stampa. «È morto pacificamente nella sua casa a Douchy, circondato dai suoi tre figli e dalla sua famiglia (. ..) La sua famiglia chiede gentilmente di rispettare la sua privacy, in questo momento di lutto estremamente doloroso». Qui sotto il racconto della sua vita, della sua carriera, dei suoi amori, firmato da Maurizio Porro.

Se ne è andato, dopo averlo spesso annunciato, Alain Delon, uno degli attori più seducenti del cinema, e una leggenda: il suo sorriso come Tancredi nel «Gattopardo» nessuno l’ha dimenticato.

Ha avuto un brutto finale di partita, soprattutto per ragioni familiari, al centro di una lite che ha interessato il tribunale tra i figli in polemica sul ricovero del padre, colpito nel 2019 da un ictus, su una protezione giudiziaria per motivi di salute e sul ricovero in una clinica. E c’è anche una donna franco giapponese, Hiromi Rollin, che si presenta come la compagna dell’attore e denuncia i tre figli. Sono tre figliAnthony, Anouchka e Alain-Fabien, e mentre litigavano il loro famoso padre perdeva sempre più i contatti con la realtà e la vita: a volte è presente a volte assente, gran parte del tempo non sappiamo cosa realmente accade nella sua testa, aveva dichiarato uno dei figli, Alain-Fabien. Secondo gli atti dell’inchiesta, quando nel luglio 2023 un medico lo aveva visitato nella sua residenza di campagna a Douchy, due ore d’auto a sud di Parigi, dove si è spento, Delon aveva faticosamente detto «voglio morire, la vita è finita».

Delon era spesso stato male, aveva sofferto perché la dolce ala della giovinezza l’aveva abbandonato, aveva quasi previsto un suicidio, ma poi la fine è stata più banale. Ma prima aveva avuto la sua Palma d’oro a Cannes, in un ultimo tripudio di folla cui aveva giustamente risposto con lacrime fatte di gratitudine e nostalgia, dicendo che si trattava di un «omaggio postumo».

L’infanzia difficile – e il periodo tra i parà

Bello e dannato, ribaldo e felino, sciupafemmine e ribelle, segnato da un’adolescenza difficile per i genitori divisi, Alain Delon è destinato ad essere uno sempre espulso da scuola, finché a 17 anni, seguendo un copione quasi predestinato, non si arruola fra i parà in Indocina. Così, con una scelta precisa (si definirà gollista nazionalista e sostenne pure Le Pen: Marine lo ha salutato con un messaggio su X, «La leggenda è scomparsa, Delon ci lascia orfani dell’epoca d’oro del cinema francese. Una parte della Francia che amiamo se ne va con lui»), inizia la sua vita spericolata incuriosendo i maggiori registi.

S’è trovato spesso in coppia con Jean Paul Belmondo, altra star a lui complementare ma più ruvida, con cui ha diviso i gangsterismi marsigliesi di «Borsalino», due dei volti da copertina del divismo francese.

Il successo con Visconti – e l’amore per Romy Schneider

Nato sotto il segno dello Scorpione l’8 novembre ‘35 a Sceaux (con tre nomi in più, Fabien, Maurice e Marcel) uscito vivo e corazzato dall’assedio vietnamita di Dien-Bien-Fu, perduta dalla Francia nel ‘54, Delon si avvia verso il cinema, scelto da Yves Allegret che lo vuole killer in «Godot», ‘57.

Delon e Claudia Cardinale sul set del Gattopardo

Delon e Claudia Cardinale sul set del Gattopardo (Getty)

Ma il film che lo impone, eleggendolo sex symbol per la seduzione felina dello sguardo, è «In pieno sole», ’59, di uno dei suoi registi di fiducia, René Clément, nella parte congeniale del Maligno, tratto dal «Talento di Mr. Ripley» della Highsmith (a lui si ispirò Gere per «American gigolò»), rifatto poi nel ’99 con Matt Damon e Jude Law. Aveva il potere magnetico dell’aspetto e le turbolenze della privacy offerta patinata al miglior offerente, ma era anche dotato di grande sensibilità.

Delon e Claudia Cardinale nel Gattopardo

Ebbe un infelice romanzo d’amore durato 6 anni con la dolce e infelice Romy Schneider, mitica Sissi, che con lui fece coppia sia al cinema, nell’ambiguo acquatico psico giallo «La piscina» di Deray, sia a teatro nel barocco allestimento di Visconti dell’incestuosa tragedia elisabettiana di Jon Ford «Peccato che sia una sgualdrina». Proprio il regista italiano lo consacra attore espressivo e sensibile in due best seller amatissimi, visti da milioni di persone: «Rocco e i suoi fratelli», che nel ‘60 tramuta Delon in un giovane buono venuto a Milano dalla Lucania (oggi Basilicata) e costretto a tirar di boxe per far campare la famiglia; «Il Gattopardo» in cui è il nobile garibaldino Tancredi, nipote prediletto del principe, che sposa Angelica (la Cardinale) come vuole il romanzo di Tomasi di Lampedusa che Visconti ha trasformato, con costoso perfezionismo da maestro, nel nostro «Via col vento», con un ballo finale in stile Guèrmantes.

Da qui Delon, forte del carisma da vita romanzesca, prosegue la felice strada italo-francese: da «Che gioia vivere!», di Clément, brillante commedia sugli anarchici, a «L’eclisse» in cui Antonioni lo vede come un agente di borsa che tenta invano di amare Monica Vitti nella solitudine esistenziale di una vera eclisse. È un divo che funzionerà nelle avventure popolari («Colpo grosso al casinò» e «Il clan dei siciliani» col “nonno” Gabin), ma anche nel cinema d’autore, come il capolavoro di Losey «Mr. Klein» in cui è un cittadino che s’identifica, senza esserlo, in un ebreo e sale sul treno per Auschwitz (con lo stesso regista sarà il sicario staliniano che uccide Trotzky-Burton). Attivo freneticamente in ogni campo, tanto da lanciare una linea di profumi e mobili imperiali super rococò, Delon non si limita ad essere un attore a rapida presa emotiva, come nei magnifici gialli di Melville «Frank Costello faccia d’angelo» «I senza nome», «Notte sulla città», trittico di spie e flic su lividi paesaggi; offre in anticipo sui tempi le sue iniziali come griffe per variopinte attività, oltre ad allevare cavalli, cani, organizzare match di boxe, coltivare amicizie pericolose.

I matrimoni e i tre figli

Si fidanza, flirta, si sposa, il 13 agosto 64, esibendo come biglietto da visita la vita sregolata; dalla moglie Natalie Delon ha il figlio Anthony con cui avrà controversi rapporti ma che l’ha reso nonno; poi si cambia, nuove nozze con Mireille Darc (in mezzo ci furono anche Marisa Mell, Sylva Kristel, Sydne Rome e la Di Lazzaro), in età matura nuovo divorzio, senza contare il figlio mai riconosciuto avuto con Nico e gli ultimi flirt con Anne Parillaud e Catherine Pironi.

Delon e Romy Schneider

Delon e Romy Schneider

Nell’87 la relazione con Rosalie van Breemen lo rende due volte padre di nuovo, di Anouchka e Alain-Fabien.

Delon fa teatro, tv: dallo show piumato di Zizi Jeanmaire al «Bell’indifferente» di Cocteau. Nonostante l’allenamento, l’immagine di faccia d’angelo, resiste faticosamente allo scandaloso «affare Markovic», un profugo jugoslavo, amico-controfigura di Delon, ucciso in circostanze misteriose per cui si parlò di droga e connivenze politiche. Delon tenta anche la carriera americana, ma come accade spesso ai divi d’Oltralpe gli va buca col western «Texas oltre il fiume»; andrà meglio con «Scorpio», con «zio» Lancaster. Si ritrova nel trittico ispirato a Poe «Tre passi nel delirio» (l’episodio «William Wilson» di Malle), nell’«Evaso» da Simenon, in «Due sporche carogne», variazioni su temi polizieschi ed esistenziali e diventa per i minorenni il mitico nuovo «Zorro» di Tessari con Ottavia Piccolo, mentre i fan esultano quando si mostra nudo, pur in acqua e da lontano, in «L’uomo che uccideva a sangue freddo» psico giallo con la Girardot.

La prima crisi e la via del pettegolezzo

Grazie anche a una scelta poco oculata di una carriera da riciclo, Delon conosce una prima crisi, risolta dal successo popolar-sentimentale, ancora di bel un film italiano, il melodramma «La prima notte di quiete» di Zurlini. Dove è un professore poeta infelice impegnato su vari fronti affettivi in una Rimini fuori stagione: grande successo per lui e per il suo cappotto di cammello stropicciato.

La carriera gli riserva ancora occasioni (una puntata della serie «Airport»), giocando sui tasti romantici, tenta due volte la regìa con esiti modesti.

Ancora cavalca la via del pettegolezzo, in tv dichiara che l’omosessualità è contro natura e di rimpiangere l’abolizione della pena di morte, annunciando a più riprese depressioni, l’addio al cinema, lamentandosi dell’abbandono del tetto coniugale di moglie e figli, insomma invecchia male.

In un’intervista del gennaio 2018, dichiara a Paris Match di essere disgustato dalla vita moderna e di aver fatto preparare una cappella e una tomba nel terreno della sua casa vicino a Ginevra – per sé e per il suo cane da pastore belga Loubo. «Se morirò prima di lui, chiederò al veterinario di lasciarci andare insieme. Farà un’iniezione al cane, così potrà morire tra le mie braccia».

Nell’84, quando il progetto della Recherche proustiana, morto Visconti, si sposta su Schlondorff per un primo ed unico film, «Un amore di Swann», poco riuscito, Delon spreca il fascino gay dark dell’immortale barone di Charlus, né gli va meglio quando tenta «Il ritorno di Casanova» (1992), in senile nudità ispirata al libro di Schnitzler.

I tentativi di rianimare una carriera in declino, mentre il tempo inesorabilmente passa, sono quasi patetici quando l’ex bel Alain tenta il remake del passato in «Uno dei due» con l’amico Belmondo. Ma lavora ancora per Deray, la Varda e per Godard (che aveva lanciato Belmondo) addirittura in doppio ruolo gemellare, in «Nouvelle vague».

Ormai l’hanno abbandonato sia la giovinezza sia il successo anche se chiude col cinema in «Asterix alle Olimpiadi» nel 2008. Ogni tanto ritenta col teatro, memore del maestro Luchino: eccolo in scena con «Variazioni enigmatiche» di Schmitt e nell’amoroso «Le montagne russe» di Assous, nel ruolo – naturalmente con ampia facoltà di autobiografici ricordi – di un vecchio seduttore in crisi che si confessa.

 

 

FONTE: CORRIERE DELLA SERA

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