Luigi Di Maio riapre la partita sull’Ilva dopo il parere dell’Avvocatura di Stato, la quale ha sottolineato in 35 pagine al momento ‘segretrate’ dal ministro dello Sviluppo Economico, come nella gara di assegnazione ci siano stati dei “vizi” pur spiegando che non ci sono gli estremi per un annullamento d’ufficio dell’assegnazione ad AmInvestco, la compagnia guidata da ArcelorMittal.
Secondo il vicepremier, l’”illegittimità dell’atto” è conclamato e c’è stato “eccesso di potere”, non bastevoli però secondo l’Avvocatura per annullare tutto poiché manca l’interesse pubblico “concreto e attuale” da tutelare.
“La gara sicuramente è stata fatta male, ha dei vizi e per noi è illegittima”, ha spiegato Di Maio ‘assolvendo’ gli acquirenti, che “sono sempre stata in buona fede” mentre il “delitto perfetto” è stato “commesso dallo Stato”. Ma, allo stato, “non si può annullare”. Quindi ora, aggiunge il ministro, ci sono “due strade che dovranno camminare in parallelo”. Da un lato, dice, verrà coinvolto nelle prossime due settimane il ministero dell’Ambiente guidato da Sergio Costa per ragionare sui termini intermedi del piano ambientale che sono stati prorogati e dall’altro annuncia di voler rimettere a un tavolo sindacati e ArcelorMittal perché trovino un accordo sul fronte occupazionale.
Il primo a replicare al vicepremier è stato il suo precedessore al Mise, Carlo Calenda, di fatto chiamato in causa con quel “delitto perfetto commesso dallo Stato”. Ricordando l’illegittimità della gara evocata da Di Maio in conferenza stampa, l’esponente del Pd chiede: “Secondo te o secondo l’Avvocatura?”. Poi, dopo averlo invitato ad annullare la gara, in un altro messaggio osserva: “Stupendo Luigi Di Maio: l’atto è illegittimo, è il delitto perfetto, l’Avvocatura mi da ragione… però mi siedo con Mittal per chiudere l’accordo. #buffone“. Nessun commento, invece, da ArcelorMittal: “Non abbiamo ricevuto il parere, non abbiamo nessun commento”, spiega all’Adnkronos una fonte del gruppo siderurgico.
Per quanto riguarda la proroga dei tempi intermedi del piano ambientale, slittati a gara in corso dal 2016 al 2023, secondo Di Maio, “se oggi esistessero delle aziende che ci dicono: vogliamo partecipare alla gara, noi dovremmo revocare questa procedura per motivi di opportunità“. In particolare, spiega il ministro, le imprese potenzialmente interessate a riaprire la gara, potrebbero sollevare delle osservazioni sullo slittamento della realizzazione del piano ambientale, che “è stato spostato durante la procedura al 2023”, ma chi ha partecipato all’inizio alla gara sapeva che il termine era il 2016. “Bisognava riaprire i termini anche della gara?”, chiede Di Maio. “Su questo l’avvocatura concorda con l’Anac: si può configurare una lesione del principio di concorrenza e, soprattutto, si dice anche che il principio della concorrenza è stato leso per responsabilità del legislatore“.
Sul tema dei rilanci durante la gara, dibattuto anche dall’Anac, Di Maio ha spiegato di aver “chiesto se è stato giusto non concedere i rilanci. La gara si poteva fare in due round, ci poteva essere la possibilità di rilanciare. Questo non è stato concesso, nonostante il concorrente lo avesse chiesto”. Un riferimento chiaro alla decisione di Calenda, pure quella avallata da un parere dell’Avvocatura, di non permettere alla cordata concorrente di AmInvestco, guidata da Jindal, di presentare un’offerta migliore in extremis. “Secondo noi c’è stato un eccesso di potere – l’accusa del vicepremier – I rilanci non sono solo una cosa tecnica, significa avere una migliore offerta, non si è fatto l’interesse dello Stato e dei cittadini. I cittadini sono stati penalizzati da un eccesso di potere”.
Sul fronte delle parti sociali, alla ricerca di un’intesa con ArcelorMittal, Di Maio assicura che “saremo al tavolo” specificando che “un accordo che porta lavoro a Taranto rappresenta l’interesse pubblico attuale e concreto da tutelare che eviterebbe revoca della gara”. Una ‘spinta’ all’azienda perché superi i 10mila occupati garantiti al momento e trovi una soluzione perché tutti gli attuali 13.700 dipendenti siano tutelati al termine del piano industriale nel 2023. Perché, è il sottinteso, senza un accordo il suo ministero potrebbe spingersi fin dove non ha osato finora. Quello degli esuberi è “il peccato originale”, evitabile – secondo Di Maio – “se si fosse concesso a più aziende di partecipare alla gara e di fare i rilanci”.
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