La storia del giornalista spagnolo ucciso con il suo cameraman e altre due persone in Burkina Faso: l’Argentina, Napoli, l’arte di documentare mettendo a proprio agio le persone
David Beriain era uno di qui giornalisti che considerano la distanza una premessa di menzogna. Solo se stai vicino alle cose, se ne senti l’alito e ci affondi la suola delle scarpe puoi provare a trovare la strada dela verità. David credeva in una semplice regola, lavorare per portare alle persone ciò che altrimenti non vedrebbero. Si fa il reporter per questo per nessun’altra ragione. Ho iniziato queste righe al passato e questo mi restituisce una sensazione di irrealtà sembra impossibile che un uomo come David che era attraversato da un vitalismo forsennato sia morto ammazzato dalle milizia islamiste in Burkina Faso insieme al suo cameraman Roberto Fraile. L’hanno ucciso mentre faceva cioè che aveva dato senso a tutta la sua vita: documentare. L’est e il nord del Burkina Faso negli ultimi anni sono diventati un fronte di guerra tra i meno raccontati del mondo, il ramo di Al Qaeda nel Sahel, il Gruppo per il sostegno dell’Islam e dei musulmani (JNIM), e lo Stato Islamico nel Grande Sahara (ISGS), hanno portato lo scontro ad intensificarsi e al confine con il Benin ormai è guerra. Beriain sapeva che più si allontanava Al Qaeda dalle capitali europee e dai luoghi del petrolio meno si sarebbero accese le luci dell’informazione occidentale per questo era andato proprio lì in Burkina, uno dei Paesi meno raccontati del mondo con una delle popolazioni più pacifiche e cordiali del pianeta a mostrare come l’islamismo stava provando a sfruttare povertà, miseria, rabbia in adesione al fondamentalismo e come questa adesione i miliziani islamisti la usavano per ricattare: pagateci o islamizziamo il paese, fateci trafficare o rovesciamo il governo. Per raccontare questo David Beriain e Roberto Fraile sono morti.
Papaveri e campesinos
Avevo conosciuto il lavoro di David tramite Clandestino perché avevo introdotto con dei video i suoi documentari. David aveva raccontato con coraggio il percorso della droga, seguendo la produzione nei campi di papavero da oppio messicani fino al confine. Aveva intervistato i campesinos pagati pochissimo ma pur sempre meglio che coltivando patate o pomodori, aveva incontrato i sicari, i corrieri ed era riuscito a decrittare l’estetismo dei narcotrafficanti, la loro ossessione per i simboli, la comunicazione, l’ostentazione che era rivendicazione del loro potere. La sua qualità maggiore era di mettere a proprio agio l’interlocutore. Era uno spagnolo della Navarra ma che si era formato sulla corruzione argentina, in Sudamerica era riuscito a vivere insieme ai guerriglieri delle FARC in Colombia, la più antica guerriglia comunista del mondo che si finanziava con la cocaina e con il cacao e poi l’Iraq e l’Afganistan dove si diceva avrebbe voluto vivere se fosse finita la guerra: lì c’era tutto ciò che lo faceva sentire vivo, montagna, cielo, volti puliti, memoria della tragedia umana.
Domande di buon senso
Quando intervistava, David non tendeva a stressare l’interlocutore: voleva che si confessasse.E poi dopo aver accolto la confessione provava a far le domande che uno spettatore di buon senso avrebbe fatto: perché uccidete? Perché per soldi fate questo? Oppure, davvero il mondo guidato dall’islam sarà un mondo felice? Si dividevano così le sue interviste: una parte in cui l’intervistato si racconta e David non giudicava, non incalzava, e l’altra in cui provava a fare le domande che avrebbero voluto pronunciare gli spettatori. Aveva costruito documentari dove lui in prima persona diventava protagonista costruendo l’avventura della conoscenza, caratteristica del suo lavoro era il montaggio serrato, sembrano film d’azione più che documentari. Ma non è fiction, tutt’altro. Per questa ragione alcuni colleghi lo consideravano troppo spettacolare, ma David cercava di creare documentari con gli ingredienti della fiction: suspence, thriller, epilogo inaspettato, mantenendo però il rigore della ricerca.
Il primo incontro
C’eravamo incontrati la prima volta nel 2018: gli avevo raccontato nell’intervista della Napoli delle paranze, i ragazzini che si erano presi la città, a David interessava di questi camorristi adolescenti il loro rapporto con la morte. Era ossessionato dai luoghi estremi perché li considerava più adatti per fissare il comportamento umano spogliato dalle mediazioni della vita ordinaria. David era impossibile fregarlo, eppure una volta a Napoli c’erano riusciti: fu vittima di un raggiro per cui è finito indagato dalla procura di Milano. Per realizzare una puntata del suo programma su camorra e ‘ndrangheta, la casa di produzione di David si era appoggiata a dei fixer italiani. Rivolgersi a professionisti che conoscono bene il territorio è la prassi in questi casi. David si era affidato a Giuseppe Iannini, un ex carabiniere (anche lui indagato nell’inchiesta della Procura di Milano) che lo scorso febbraio ha ricevuto una condanna a tre anni di carcere per violazione del segreto d’ufficio relativamente a un’inchiesta di camorra. La condanna di Iannini è arrivata anni dopo la collaborazione con Beriain, che probabilmente si era fidato del maresciallo infedele che — secondo le accuse — gli ha fatto intervistare attori e non ’ndranghetisti in un palazzo qualsiasi e non in una raffineria di droga come gli avevano detto. Avevo scritto a David per dirgli scherzosamente «solo a Napoli potevano fregarti». Mi aveva risposto promettendomi di raccontarmi cosa stava combinando ora appena in Africa avesse avuto una buona connessione web. Sono arrivati prima i proiettili di kalashnikov. David Beriain sapeva che avrebbe potuto cadere in un agguato, aveva visto e sfiorato la morte talmente tante volte da non provare più né schifo né paura ed è proprio in questi casi che si smarrisce prudenza. Sembra impossibile che uno come David non sia più in giro, sempre in viaggio per avventure e indagini. Addio David, mi spiace davvero che ti abbiano fatto questo, mi mancherà seguire i tuoi movimenti che erano la condizione della tua vita e donavano i tuoi racconti, quelli continueranno a muoversi nessun agguato potrà mai fermali.
Fonte: Corriere.it
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