Calenda: «Parlo spesso con Schlein. Senza un’agenda di governo il campo largo non esiste»

Il leader di Azione: «Servono temi concreti. L’unica soluzione per questo Paese sarà una larga coalizione di partiti europeisti»

di Paola Di Caro

Lo dice in latino, ma lo ribadisce in italiano Carlo Calenda: «Hic manebimus optime», ovvero «la nostra posizione non cambia».

Significa che Azione, il partito che lei guida, non entrerà per ora nel costituendo Campo largo, l’alleanza per sfidare il centrodestra?
«Significa che il “campo largo”, senza un minimo di programma di governo — che vada dalla politica estera al superbonus, dalla transizione verde al salario minimo, temi veri e cruciali insomma — non esiste. E per ora non esiste. Il “tutti contro Meloni” non funziona, non è politica».

Quindi lei è indisponibile a mettersi in gioco?
«Tutt’altro. Io sono disponibilissimo a discutere, confrontarmi, su ogni tema utile per il Paese. Siamo nel momento più buio della crisi dell’Occidente, non possiamo fare politica senza sapere dove vogliamo andare. E non è detto che tutto il bene sia da una parte e il cattivo dall’altro. Io sono con Schlein sul salario minimo, ma sono anche con la maggioranza sulla giustizia. Questa polarizzazione estrema per cui non conta più quello che si propone ma solo lo scontro gli uni contro gli altri, perfino su un incontro di boxe femminile, porta al disastro, non solo l’Italia ma le democrazie occidentali».

È pur vero però che, con questi sistemi elettorali, scegliere è indispensabile se si vuole contare.
«Noi ci poniamo l’obiettivo di cambiare questo sistema di o tutti di qua o tutti di là, di scontro continuo a prescindere. Crediamo che alla fine l’unica soluzione per questo Paese sarà una larga coalizione dei partiti europeisti».

Il primo appuntamento sono le Regionali d’autunno. Che farete?
«In Emilia-Romagna e in Umbria non abbiamo problemi, saremo col centrosinistra: i candidati sono ottimi e riformisti».

In Liguria no, invece?
«Qui la situazione è diversa. Non ci è piaciuto come è stato attaccato Toti, al di là delle sue eventuali responsabilità, perché in gioco c’è lo stato di diritto: non è tollerabile tenere ai domiciliari una persona finché non si dimette. Ecco, se la parola d’ordine è giustizialismo, noi non possiamo starci. E altra cosa: nel programma del candidato, chiunque sia e con la massima stima per Orlando, chiediamo che si preveda che si vada avanti con le infrastrutture, non che ci si opponga anche alla Gronda, e che si metta mano alla sanità, dove davvero Toti ha sbagliato».

Insomma, il vostro appoggio non è scontato?
«No, non lo è».

Ma lei con i suoi possibili alleati non sta parlando?
«Ci parlo spesso, con Elly Schlien ho un ottimo rapporto. Ma vorrei trattare temi concreti. Così come faccio con Meloni, alla quale per esempio ho suggerito di confrontarsi con le opposizioni su un tema importante come il piano Mattei».

Però nel 2027 si vota: se volete costruire l’alternativa, è tempo di pensarci.
«Due anni e mezzo sono tantissimi: che ne sarà del governo Meloni? Che farà FI? Che sistema elettorale avremo? Non si può decidere ora e a prescindere dai contenuti come ci presenteremo. Sicuramente non abbandoneremo la nostra coerenza rispetto a ciò che riteniamo necessario fare per l’Italia».

Lei dice che la guerra bipolare distruggerà le nostre democrazie. Ma anche ai tempi di Berlusconi e Prodi c’erano due poli, ci si schierava.
«Vero, ma Prodi era persona che parlava solo di cose concrete, così come Berlusconi era un popolare moderato. Adesso è un corpo a corpo senza concretezza».

Non è che lei è così cauto perché l’idea di mettersi tutti insieme senza barriere l’ha lanciata Renzi?
«Ma figuriamoci. Questa è la nostra linea dalla formazione del Conte due in poi. Non ho problemi con Matteo, solo modi di fare politica molto diversi. La questione è l’inesistenza di un’agenda di governo del campo largo, non Renzi».

Teme che Azione diventi terreno di caccia di partiti centristi forti come FI?
«Intanto FI è un partito di governo, non centrista. Vota e governa con un esecutivo a guida Meloni. Per ciò che concerne Azione non ho alcun segnale di uscite. Ma l’importante è che le persone rimangano in Azione se convinte del progetto. E il progetto è sempre lo stesso. Chiudere il bipopulismo».

Carfagna, Gelmini, resteranno con lei?
«Non ho mai avuto segnali che non vogliamo rimanere a portare avanti il nostro progetto, che è appunto quello di spezzare questa logica da bipolarismo feroce, che non si basa sulle idee ma sulla guerra reciproca. Io credo che spetti al centro rompere questo sistema, portando avanti un’agenda di serietà e buonsenso. Mara, Mariastella ricoprono cariche apicali in Azione e stanno lavorando con serietà e impegno».

 

 

fonte: CORRIERE ROMA

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