11 LUGLIO – San Benedetto, abate, patrono d’Europa

Festa

Dal Martirologio

Memoria di san Benedetto, abate, che, nato a Norcia in Umbria ed educato a Roma, iniziò a condurre vita eremitica nella regione di Subiaco, raccogliendo intorno a sé molti discepoli; spostatosi poi a Cassino, fondò qui il celebre monastero e scrisse la regola, che tanto si diffuse in ogni lugo da meritargli il titolo di patriarca dei monaci in Occidente.
Si ritiene sia morto il 21 marzo.
Autore: Salvatore Stano
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Dai Dialoghi di san Gregorio Magno conosciamo la vita e l’opera di Benedetto di Norcia, il « padre del monachesimo d’Occidente ». Lasciato il « mondo » di Roma, fu a Subiaco dove per tre anni in una grotta maturò esperienze di vita « eremitica » (solitaria), noto solo a un monaco che gli forniva cibo. Poi, rudi pastori gli chiesero di istruirli, i monaci di Vicovaro lo vollero superiore ma tentarono d’avvelenarlo; infine molti discepoli cercarono la sua direzione. Fondò prima uno e poi dodici monasteri: nasceva la vita « cenobitica » (comunitaria) benedettina. La sua celebre Regola monastica armonizza esperienza ascetica orientale (cf san Basilio, pag. 1625) e saggezza romana con la discrezione e lo spirito dei Vangelo. L’Abate (padre) guida una vita di preghiera e di lavoro manuale e intellettuale, che congiunge semplicità e prudenza, austerità e dolcezza, libertà e obbedienza. Verso il 529, per un’astiosa persecuzione, si recò a Montecassino, e là morì il 21 marzo probabilmente nel 547. I suoi monaci si sparsero per l’Europa, la convertirono a Cristo e ne conservarono l’unità religiosa. Per questo, Benedetto fu proclamato da Paolo VI nel 1964 principale «Patrono d’Europa» e la sua festa (impedita in quaresima al 21 marzo) è alla data di una sua antica festività.
I Benedettini sono sempre stati forze vive nel popolo di Dio, apportandovi le ricchezze della vita contemplativa, l’esemplare «lode di Dio» nel servizio liturgico, lo studio dei santi Padri. Hanno dato alla Chiesa, cominciando da san Gregorio Magno, un gran numero di Papi e sono intervenuti operosamente nelle missioni più delicate.
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Non antepongano a Cristo assolutamente nulla

Dalla «Regola» di san Benedetto, abate
(Prologo 4-22; cap. 72, 1-12; CSEL 75, 2-5. 162-163)

Prima di ogni altra cosa devi chiedere a Dio con insistenti preghiere che egli voglia condurre a termine le opere di bene da te incominciare, perché non debba rattristarsi delle nostre cattivi azioni dopo che si è degnato di chiamarci ad essere suoi figli. In cambio dei suoi doni, gli dobbiamo obbedienza continua. Se non faremo così, egli come padre sdegnato, sarà costretto a diseredare un giorno i suoi figli e, come Signore tremendo, irritato per le nostre colpe, condannerà alla pena eterna quei malvagi che non l’hanno voluto seguire alla gloria.
Destiamoci, dunque, una buona volta al richiamo della Scrittura che dice: E’ tempo ormai di levarci dal sonno (cfr. Rm 13, 11). Apriamo gli occhi alla luce divina, ascoltiamo attentamente la voce ammonitrice che Dio ci rivolge ogni giorno: «Oggi se udite la sua voce non indurite i vostri cuori» (Sal 94, 8). E ancora: «Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese» (Ap 2, 7).
E che cosa dice? Venite, figli, ascoltate, vi insegnerò il timore del Signore. Camminate mentre avete la luce della vita, perché non vi sorprendono le tenebre della morte (cfr. Gv 12, 35).
Il Signore cerca nella moltitudine del popolo il suo operaio e dice: C’è qualcuno che desidera la vita e brama trascorrere giorni felici? (cfr. Sal 33, 13). Se tu all’udire queste parole rispondi: Io lo voglio! Iddio ti dice: Se vuoi possedere la vera e perpetua vita, preserva la lingua dal male e le tue labbra non pronunzino menzogna: fuggi il male e fà il bene: cerca la pace e seguila (cfr. Sal 33, 14-15). E se farete questo, i miei occhi saranno sopra di voi e le mie orecchie saranno attente alle vostre preghiere: prima ancora che mi invochiate dirò: Eccomi.
Che cosa vi è di più dolce, carissimi fratelli, di questa voce del Signore che ci invita? Ecco, poiché ci ama, ci mostra il cammino della vita.
Perciò, cinti i fianchi di fede e della pratica di opere buone, con la guida del vangelo, inoltriamoci nelle sue vie, per meritare di vedere nel suo regno colui che ci ha chiamati. Ma se vogliamo abitare nei padiglioni del suo regno, persuadiamoci che non ci potremo arrivare, se non affrettandoci con le buone opere.
Come vi è uno zelo cattivo e amaro che allontana da Dio e conduce all’inferno, così c’è uno zelo buono che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna. In questo zelo i monaci devono esercitarsi con amore vivissimo; e perciò si prevengano l’un l’altro nel rendersi onore, sopportino con somma pazienza le infermità fisiche e morali degli altri, si prestino a gara obbedienza reciproca. Nessuno cerchi il proprio utile, ma piuttosto quello degli altri, amino i fratelli con puro affetto, temano Dio, vogliano bene al proprio abate con sincera e umile carità.
Nulla assolutamente anteponiamo a Cristo e così egli, in compenso, ci condurrà tutti alla vita eterna.

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